lunedì 6 maggio 2024

 BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

6° Domenica Pasqua B – 05/05/2024

Gv 15,9-17

Risorti con Gesù, scorre nelle vene della nostra esistenza, come nei tralci della vite, la linfa, la vita di Gesù. Ciò che ci unisce a Lui non è semplicemente dipendenza, altrimenti se ci stacchiamo diventiamo secchi e sterili, buoni solo ad essere tagliati e gettati nel fuoco a bruciare, come diceva domenica scorsa l’immagine  usata da Gesù; non è nemmeno essere servi che fanno le cose perché tocca o per averne degli interessi. Alla fine ci si stanca o si cambia padrone. No, ciò che ci unisce a Gesù è l’amicizia : “Voi siete miei amici” che osservano, che vivono il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri”. I tralci diventano amici: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”.

 Un servo, poi, oltre ad essere obbligato a fare quello che è suo dovere, può sentirsi purtroppo tale perché ha paura di non essere amato; basta vedere come è trattato, sì, anche comandato, senza amore, attenzione, senza rispetto. Il servo ci sta con lo scopo di compiacere il padrone anche quando, magari, vorrebbe andarsene. Il servo può vivere nella paura di essere punito e non si sente mai libero. Quale triste condizione può essere! Se riflettiamo bene, forse anche noi rischiamo di vivere così le nostre  relazioni, persino quelle più importanti, quelle familiari; e pure possiamo stare nella relazione con il Signore da servi.

 

Gesù ci ha dato e continua ad offrirci la sua amicizia, rimanendo noi uniti a Lui come i tralci alla vite, immagine sempre valida, perché ci mette a parte delle sue cose più preziose, più care, dell’intimità con il Padre. E’ un’ amicizia che non si ferma all’ospitalità pur bella, priva di gelosie e di segreti, ma ci fa pienamente familiari, coeredi di ogni suo bene, alla pari, perché “la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. E’ l’obiettivo dell’amicizia nella quale Egli non manca di dare tutto di sé, come ha dimostrato; e sta con noi, sempre. E’ un’amicizia che apre ad una confidenza tale con il Padre che “tutto quello che chiederete nel mio nome, ve lo concederà”. 

 

Gesù indica nella sua amicizia con i discepoli il modello dell’amore, perché si ama al punto da dare la vita per l’altro. Forse abbiamo ancora tanta strada da fare, o comunque, quella trasmissione in noi della linfa vitale che è il Suo amore, conosce ostacoli ed ostruzioni. Per fortuna Gesù pone l’accento sul come: amatevi come io vi ho amato. A ben pensare, quel come ci invita ad uno sforzo secondo le nostre capacità, o i nostri limiti incoraggiandoci a non lasciarci fermare da essi; perché di solito siamo tentati di dare in misura calcolata e, tutt’al più, tendiamo a cercare di pareggiare i conti. Proviamo al più ad amare come ci ama l’altro.

 

Questo modo, questa misura, di amarci reciprocamente, di volerci bene anche in famiglia, diventano il fondamento dell’annuncio del Vangelo, dell’educazione cristiana: non solo le parole, ma prima di tutto il modo in cui ci amiamo. Non conta tanto quello che diciamo, o le prediche, le raccomandazioni, gli insegnamenti che facciamo, ma prima di tutto come lo viviamo.

 

Accogliamo l’invito dell’apostolo Giovanni nella sua lettera : Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio… Chi non ama non ha conosciuto Dio, … Solo chi l’ha conosciuto potrà farlo conoscere agli altri.

 

lunedì 29 aprile 2024

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

Quinta di Pasqua B – 28.04.2024

1Giovanni 3,18-24     Giovanni 15,1-18

Dopo l’immagine verità del Buon Pastore che dà la vita per le pecore, ecco che Gesù si serve di un’altra non meno vera per confermare che la Sua missione presso i suoi è che anche costoro producano e diano vita per e al mondo: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.

Anche questa è un’immagine molto conosciuta e cara agli ascoltatori di Gesù. Il popolo a cui Dio si è rivelato è paragonato ad un vigna, la vigna del Signore; Colui che Dio, il Figlio, il Crocifisso/Risorto, è la vite, e i tralci, la cui funzione è di produrre frutti di bontà, giustizia, pace e carità, sono i suoi discepoli, sono quelli che rimangono uniti a Lui. “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me”.

Quanti sono risorti con Gesù, e lo siamo noi innestati in Lui con il Battesimo quale frutto della Risurrezione, hanno possibilità di vita, la Sua stessa vita, se coltiviamo questa relazione: rimanere, stare uniti, proprio come un innesto a Lui perché scorra in noi, nelle nostre membra, nella nostra umanità,  la Sua stessa linfa, come del resto Egli ci tiene ben stretti a sé e non ci lascia senza di quanto è necessario perché non diventiamo tralci secchi, inutili, sterili, privi di ogni frutto. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia…”.

Il desiderio e la volontà del Padre è che noi abbiamo a portare frutto, molto frutto. E’ l’obiettivo della vita, il senso dell’andare, del crescere, del maturare in questa esistenza. In che consista questo frutto, ben ce lo lascia intendere, anzi lo dice chiaramente, l’apostolo Giovanni nella seconda lettura di oggi: Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità….Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato.” In pratica è la vita stessa di Gesù che scorre e si manifesta in noi.

C’è un’affermazione tra le parole di Gesù che attira la nostra attenzione. Una l’abbiamo già ricordata: Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia…”.Questa affermazione non contraddice la bontà e la pazienza del buon Pastore sostituendole con la severità del vignaiolo. In realtà è in tralcio infruttuoso che si elimina da sé, si emargina dalla comunione che dà la vitalità necessario perché arrivino i frutti. L’altra, invece, che ci sorprende ancor di più ma fino ad un certo punto se conosciamo l’arte di coltivare le viti, dice così: “ogni tralcio che porta frutto, lo porta  perché porti più frutto”.

Ecco le due parole, tagliare e potare; simili nel gesto che indicano, ma estremamente diverse nel significato e nell’obiettivo. Tagliare, uguale e gettare via, potare per portare frutto. Bella questa assonanza tra “potare” e “portare”; ci sta in mezzo una “erre”, come recisione, che elimina la parte che dà la morte, e apre una ferita che favorisce un innesto promettente di vita; una “erre” come risurrezione, la condizione in cui glorifichiamo il Padre, diventando sempre più discepoli del Figlio suo Gesù, quali frutti primizia di un’umanità nuova.

 

lunedì 22 aprile 2024

BRICIOLE di PAROLA...nell'omelia

 

4° Domenica di Pasqua –21.04.2024

Atti 4,8-12 - Giovanni 10,11-18

Chi è il Crocifisso/Risorto che sta in mezzo a noi? Così si presentava nelle scorse domeniche pasquali: Colui che sta in mezzo a suoi, mostra le ferite, ricorda cioè l’amore con cui li ha amati, e in un certo senso chiede amore quando dice “dai, toccatemi, guardate”. Chi è? E’ il Pastore buono, meglio, bello; ancor di più vero, unico; pastore di noi che come pecore abbiamo bisogno di uno che si prenda cura delle nostre ferite e calmi le nostre paure. L’immagine del pastore era familiare agli ascoltatori di Gesù, sia per l’esperienza ancora in voga per la sussistenza di quei popoli, sia  per la conoscenza che ne aveva dell’immagine biblica che indicava Dio.

Tra le attenzioni che il pastore ha verso il gregge, Gesù parla che Egli in quanto tale , “io sono il buon pastore”, c’è una particolare relazione tra lui e i suoi discepoli; e non solo con costoro, perché, dice, “ho altre pecore che non provengono da questo recinto”, a nessuno nega premura, cura, affetto, difesa. “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Gesù conosce, cioè ama, ed è conosciuto, cioè è amato. Conoscenza è una relazione di affetto, di amore. Per comprendere che è così basta che pensiamo a cosa succede tra di noi quando arriviamo a dirci “non ti conosco più”. Forse significa che la relazione d’amore si sta spegnendo, “non ti amo più”.

A differenza del mercenario, assoldato per un servizio, ma bada bene al proprio interesse e fugge e abbandona chi gli è affidato, se viene il lupo,  al pastore le pecore appartengono, le sente sue; magari le ha anche difese e recuperate tra mille pericoli. Così è il Signore con noi: tu mi sei caro, sei per me prezioso, tu mi appartieni, non per possederti e dominarti, ma per darti la vera libertà. A dire il vero, l’amicizia con Lui è un appartenerci reciproco, un tenerci stretti, perché ci amiamo. E vive dell’ ascolto della sua voce, che viene prima della parola perché la voce, il tono, rivela in sentimento che c’è nel cuore, se l’amore, la pazienza, o la rabbia, il rancore…

Le conseguenze di questa relazione d’amicizia cara. Da parte del Pastore, cioè di Gesù il Signore nostro, dare la vita; da parte nostra il metterci nelle sue mani. Il tutto con una grande libertà. Nessuno mi toglie la vita, nessuno mi costringe ad amarvi. Sono io che lo scelgo, che lo voglio. Che amore sarebbe, se io non agissi con piena libertà, se io non decidessi da me stesso, certamente in comunione con il Padre mio, di amarvi? La libertà di amare è il vero potere, la libertà di servire, di dare la vita è il vero potere. Potere non è prendere la vita ad altri o renderla impossibile, ma donarla. In nessun altro c’è salvezza! Questo è il vero comando che guida Gesù e deve condurre anche noi, nel nostro piccolo, pastori gli uni degli altri, meglio custodi del bene di chi ci è affidato.